1983 - Articolo per Rassegna Sindacale

 

Pensioni al minimo - 1983

PRIMA MUOIONO MEGLIO E'

 

Il ministro del lavoro si è impegnato a presentare una proposta per il riordino del sistema pensionistico entro il mese di gennaio 1984; speriamo non sia la solita promessa da marinaio. Infatti lo stesso De Michelis aveva promesso il varo della proposta entro ottobre, poi novembre, poi fine 1983.

Del riordino se ne discute da anni, anzi, sui suoi contenuti si realizzò un accordo tra sindacato e l'allora ministro del lavoro Scotti nel 1978.

E' da anni - è bene ricordarlo - che il sindacato propone di riordinare e riformare una materia su cui, con una frequenza crescente, si abbattono decreti legislativi, provvedimenti, sentenze che creano quasi sempre nuove sperequazioni ed ingiustizie ed alimentano la crisi finanziaria dell'Inps. Anche le ultime proposte - maggio 1983 - della Federazione Unitaria , sul riordino, vanno aggiornate alla luce dei tagli in materia pensionistica, imposti col decreto n. 463, successivamente convertito in legge, la n. 638 e con la legge finanziaria.

 

Il macigno dei minimi

Tra i tanti, viene oggi al pettine un nodo antico: il minimo di pensione. Dei pensionati al minimo si parla molto ed in campagna elettorale: ogni tanto sui quotidiani si legge la storia di miseria di uno di questi poveri cristi, ultimamente hanno digiunato i radicali, ha avanzato demagogiche proposte il partito dei pensionati che ha raccolto (cerchiamo di non scordarlo) alle ultime elezioni oltre 500.000 voti. Le altre forze politiche minori ne accennano qualcosa nei loro programmi ed è un impegno più o meno esplicito dei partiti di sinistra e dei sindacati.

Ma i minimi, il loro aumento, restano un macigno difficile da spostare. Ultimamente sono state prese, nei confronti dei pensionati al minimo, alcune misure. Ci riferiamo a quanto 'previsto nell'art. 6 della legge 638 che così recita: "...a decorrere dal 1 ottobre 1983 l'integrazione al trattamento minimo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni sostitutive, esonerative ed esclusive della medesima, nonchè delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni della gestione speciale minatori, non spetta ai soggetti che posseggono redditi propri assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo superiore a due volte l'ammontare annuo del trattamento minimo del fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l'importo mensile, in vigore al 1 gennaio di ciascun anno. Dal computo dei redditi sono esclusi i trattamenti di fine rapporto comunque denominati ed il reddito della casa di abitazione. Non concorre alla formazione dei redditi predetti l'importo della pensione da integrare al trattamento minimo".

L'altro provvedimento è contenuto nella legge finanziaria, art. 21, ed è relativo alla perequazione automatica delle pensioni ed alla scala mobile. Il punto 4 dell'art. 21 salvaguarda il livello delle pensioni al minimo, ma per impedirne il taglio è stata necessaria una dura lotta nel Paese ed in Parlamento.

Per maggiore chiarezza si metta a confronto l'art. 20 della legge finanziaria proposto dal Governo con l'articolo definitivamente approvato, divenuto il 21, per valutarne la sostanziale differenza.

 

Si all'aumento dei minimi

Un pensionato statale a Cagliari ha offerto un occhio ed un rene a chi gli procurava un appartamento ad equo canone. Se fosse stato un pensionato al minimo con 320.000 lire pensili, dal 1 gennaio 1984, non avrebbe potuto proporre un tale scambio in quanto, ad esempio, in un quartiere periferico di Roma un affitto ad equo canone spesso supera le 320.000 lire mensili.

Senza scomodare i noti articoli della Costituzione Repubblicana in materia sociale o la passionalità di Di Vittorio quando parlava ai pensionati, credo che il sindacato ed i partiti di sinistra debbono, sul problema dei minimi, dare battaglia. Il sindacato - e ciò per ora non è in discussione - continua a sostenere l'esigenza di un sistema di protezione sociale a carattere pubblico e solidaristico. Le pensioni al minimo sono la cartina di tornasole di questa solidarietà.

Oppositori espliciti al miglioramento dei minimi non se ne conoscono. Ad esprimere dei dubbi, dei si e dei ma, non sono in pochi. Per alcuni diventa un ostacolo quasi insormontabile il costo di una simile operazione, stante lo stato della finanza pubblica e dell'Inps. E' vero, aumentare i minimi costa, ad esempio, un modesto aumento di 50.000 lire mensili comporta una spesa attorno ai 2.000 miliardi. Ma è altresì vero che questo argomento perde di valore e di credibilità, è pretestuoso quando poi si reperiscono migliaia di miliardi per la fiscalizzazione degli oneri sociali, per salvaguardare privilegi anche nel campo pensionistico e quando l'Inps perde migliaia di miliardi per l'estesa evasione contributiva.

Altri sottolineano che negli anni si è determinato un appiattimento tra i vari livelli di pensioni ed una perdita per le pensioni medio-alte e quindi diventa urgente provvedere a rivalutare queste pensioni. Tutto ciò è vero ed è giusto che si provveda: la spesa che comporta le rivalutazioni viene calcolata in circa 1.200/1.300 miliardi. Ma perchè non affrontare insieme i due problemi e risolvere, se possibile, non una ma due ingiustizie?

Ancora, c'è chi dice che occorre scegliere tra passato e futuro ed il futuro dei pensionati che superano il minimo. E' questa una tesi inaccettabile, che non può essere fatta propria da qualche sindacalista. Credo che se ci fosse un solo pensionato al minimo, egualmente si dovrebbe provvedere. Non si dimentichi che i pensionati al minimo sono 5.300.000 e non pochi di questi vivranno anche nel 2000; non solo, ancor oggi coloro che vanno in pensione col minimo sono tanti e se non crescerà l'occupazione possono addirittura aumentare.

La pensione al minimo è infatti la conseguenza di un periodo troppo breve di lavoro, meno di 25 anni, durante la vita lavorativa e della quantità di salario percepito negli ultimi 5 anni. Si parla di farli diventare 10 o 15 in un futuro prossimo.

 

L'integrazione è assistenza

Le pensioni al minimo, in generale anche se per quote diverse, sono integrate, nel senso che i versamenti contributivi producono pensioni al di sotto dell'attuale minimo. La differenza, quindi, tra la pensione minima erogata e quanto maturato con la contribuzione, è assistenza. E' questo un argomento da considerare e riflettere.

Il costo dell'integrazione delle pensioni al minimo (lavoratori dipendenti) è di circa 8.000/10.000 miliardi per i quali lo Stato interviene con poche centinaia di miliardi. Ma perchè si è creata questa situazione? In Italia, purtroppo, i disoccupati, gli emigrati, i lavoratori stagionali, gli occupati nel lavoro nero non sono mai mancati, del resto sono molti anche oggi.

C'è poi da considerare il periodo della guerra, il riconoscimento ritardato ad esempio, del sussidio di disoccupazione ai braccianti (1957) e relativa contribuzione figurativa. A tutto ciò va aggiunta l'evasione contributiva, parziale o totale, da parte dei padroni (agrari o industriali) che ancor oggi l'Inps stima superiori ai 10.000 miliardi annui. Per cui chi è stato in guerra, disoccupato, sottopagato (il sottosalario è esteso anche oggi) riceve il minimo di pensione: ha pagato prima da lavoratore e continua a pagare da pensionato.

Se non si possono aumentare i minimi, in quanto crescerebbe l'integrazione, quindi la quota assistenziale che dovrebbe essere a carico dello Stato e della collettività, anche se viene scaricata sull'Inps, perchè una volta stabilito che il minimo è un terzo del salario dei lavoratori occupati, non istituire un contributo aggiuntivo (assegno sociale?) in relazione al reddito posseduto oltre la pensione?

Se con la legge 638, art. 6, si taglia l'integrazione al minimo per un dato livello di reddito, analogamente a chi non ha altri redditi, si dia un'integrazione!

C'è chi sostiene che a volte il pensionato al minimo vive in un ambiente familiare dove possono esserci altri redditi, quindi in una condizione sopportabile. Personalmente è un argomento che non mi affascina in quanto credo che ognuno, per essere libero di scegliere, come e dove e con chi vivere, abbia diritto ad un minimo vitale. Del resto se ci si avvia per la strada (lo si è fatto con gli assegni familiari) di erogare le prestazioni in relazione al reddito familiare, non so dove si possa arrivare, forse al cumulo dei redditi per il fisco.

 

La soluzione c'è

Le soluzioni ai problemi dei minimi si possono trovare se si crea una volontà politica con la collaborazione del sindacato. La Federazione Cgil, Cisl, Uil ed i sindacati dei pensionati dovrebbero decidere che il problema dei minimi si affronta nel quadro del riordino pensionistico. Chi se ne vuole lavare le mani scarica questo problema su una futura, ipotetica, anche se necessaria, legge sull'assistenza. Semmai la legge sull'assistenza potrà recepire e migliorare le misure che si adotteranno nel quadro del riordino.

La difesa e il miglioramento della protezione sociale, di cui il "riordino" ed il minimo di pensione sono parti non secondarie, va sostenuta con una forte mobilitazione, con la lotta dei pensionati e dei lavoratori, da uno schieramento ampio di forze sociali e politiche.

Intanto è urgente una piattaforma, rispetto alla scadenza del riordino, che unisca i pensionati al minimo con quelli che raggiungono il tetto massimo e se si vuole vincere questa battaglia. Le proposte della Federazione Cgil, Cisl, Uil, con alcuni aggiornamenti, sono valide e mobilitative per i pensionati superiori al minimo e per i lavoratori non pensionati. Si tratta, perciò e in tempi brevi, di definire le richieste per i pensionati al minimo.

 

Data documento: 
Lunedì, 13 Giugno 1983